Interrogazioni

Scuola dell’obbligo, tra insegnamento personalizzato, lavoro di squadra, pazienza cognitiva e solitudine digitale

08 gennaio 2021

Il presente atto parlamentare prende spunto da tre articoli apparsi nelle scorse settimane: due sul settimanale “Il Caffè” (uno del direttore del DECS Manuele Bertoli, il 13 dicembre 2020, e uno del pedagogista Adolfo Tomasini, il 20 dicembre 2020) e uno sul quotidiano “LaRegione” (del docente e scrittore Daniele Dell’Agnola, il 2 gennaio 2021).

***

Nell’articolo ‘Maggiori investimenti’, tra le altre cose, il direttore del DECS Manuele Bertoli auspica “provvedimenti che migliorino la personalizzazione dell’insegnamento e le possibilità per i docenti di differenziare in base alle diverse capacità degli allievi.”

Conosco bene il mondo della scuola perché sono attivo da oltre 20 anni nella scuola elementare. Tutti siamo consapevoli delle differenze tra gli allievi, non solo dal punto di vista delle competenze disciplinari: ciò comporta un impegnativo lavoro di differenziazione da parte dei docenti. Ma vorrei spezzare una lancia nei confronti dell’insegnamento in gruppo: uno degli aspetti più importanti della scuola, appunto, è il fatto di essere insieme, con relazioni che si sviluppano tra allievi e docenti, con indubbi benefici per tutti. Ognuno può imparare ed aiutare l’altro. A questo proposito, riferendomi principalmente alla scuola elementare, mi permetto di chiedere:

1)    Cosa si intende con “personalizzazione dell’insegnamento”?

2)    Cosa significherebbe per gli allievi e i docenti e per l’organizzazione generale della scuola?

Personalmente (ma non dico che sia questo l’intento del direttore del DECS) trovo inadeguata una continua “segregazione” degli allievi e una eccessiva individualizzazione dell’insegnamento. Certo, per motivi specifici è utile e pure indispensabile aiutare puntualmente gli allievi, o individualmente o in piccoli gruppi; tuttavia non occorre sminuire il valore educativo (ma anche legato all’apprendimento cognitivo) del gruppo–classe nella sua completezza.

***

Nell’articolo ‘L’équipe contro la solitudine’ il pedagogista Adolfo Tomasini, invece, propone una nuova modalità organizzativa a scuola: l’insegnamento in gruppo, cioè un certo numero “di insegnanti che gestisce in comune l’equivalente di un numero di allievi che, normalmente, sarebbero ripartiti in due, tre o più classi”.

Dalla mia esperienza ritengo interessante approfondire questa proposta, che – una volta tanto – ha il pregio di focalizzarsi più sul docente che sull’allievo e permetterebbe di raggruppare docenti con talenti diversi, “affinché le qualità del gruppo sia maggiore della somma delle capacità individuali.” A questo proposito, e anche in questo caso mi riferisco in modo particolare alla scuola elementare, mi permetto di chiedere:

3)    Cosa ne pensa il DECS di questa impostazione?

4)    Ci sono esempi in tal senso in Ticino?

5)    Potrebbe essere un’impostazione da promuovere, magari attraverso dei progetti pilota?

6)    Potrebbe essere un’impostazione che va proprio a perseguire quanto il direttore del DECS sostiene nell’articolo precedente, seppur con modalità diverse?

Il lavoro in équipe tra docenti è da favorire sempre di più, non solo nei momenti di preparazione di attività e lezioni (quindi solo tra docenti) ma pure e soprattutto in presenza degli allievi (cioè tra allievi e più docenti). Coinvolgere e stimolare collaborazioni tra docenti con competenze, esperienze e passioni diverse potrebbe anche stimolare maggiormente gli allievi e, infine, rilanciare la vitalità e la motivazione per la professione di insegnante.

***

In ‘Il cervello che legge in un mondo digitale’, il docente e scrittore Daniele Dell’Agnola prende spunto dal bellissimo libro “Lettore, vieni a casa” della neuroscienziata Maryanne Wolf (edizioni Vita e Pensiero). Supportata da studi scientifici, la ricercatrice evidenzia i profondi cambiamenti e i rischi che la lettura digitale porta con sé: superficialità, disattenzione, minore approfondimento; tutto a svantaggio di riflessione, pensiero critico, memoria e della cosiddetta lettura profonda. In questo senso, soprattutto con i più piccoli deve essere favorito un approccio alla lettura con i tradizionali libri cartacei, anche perché favoriscono una sorta di ‘pazienza cognitiva’ (e non una tempesta di informazioni e stimoli tipici dei mezzi digitali): “abbiamo bisogno di processi cognitivi più lenti per favorire il pensiero critico e l’empatia, per costruire i fondamenti di conoscenza”. Maryanne Wolf, comunque, non demonizza giustamente le tecnologie: propone infatti un’alfabetizzazione parallela, che favorisca la lettura profonda e la pazienza cognitiva ma che porti anche i bambini a lavorare con la tecnologia.

7)    Cosa ne pensa il DECS delle conclusioni a cui giunge la neuroscienziata Maryanne Wolf, ossia utilizzare con cautela l’uso delle nuove tecnologie con i bambini a scuola, soprattutto i più piccoli?

8)    Il discorso si estende anche al Dipartimento di formazione e apprendimento (DFA), ossia chi è tenuto a formare i nuovi docenti. In che modo al DFA si riflette attorno a questi aspetti nei corsi proposti nella formazione di base? Riesce a dedicargli il tempo necessario? Il discorso, ovviamente, non si limita a lettura e scrittura, ma anche alle altre discipline, tenendo conto dell’età degli allievi e dei loro bisogni.

In relazione a ciò, si inserisce spontaneamente il tema della didattica a distanza, al centro delle riflessioni anche nell’ultimo numero di “Scuola ticinese”. L’esperienza avuta nella scorsa primavera ha dimostrato che la vera scuola si fa a… scuola, in presenza tra allievi e docenti. Le tecnologie vanno introdotte, ma esse non devono sminuire l’approccio pedagogico e didattico basato sulla relazione interpersonale, la vicinanza reale, l’autenticità, la manualità. Insomma, quella “pedagogia delle emozioni e delle relazioni, cento volte più educativa del silenzio di una cameretta illuminata da uno schermo”, di cui parla lo psichiatra Paolo Crepet anche nel suo ultimo libro (“Vulnerabili”, Mondadori).

9)    A che punto è l’implementazione dell’informatizzazione delle scuole cantonali? Oltre all’infrastruttura tecnologica, è cosciente il DECS che occorre riflettere con i docenti sull’utilizzo della stessa, che a detta di numerosi studi sembra essere la vera sfida da affrontare? È in atto anche questa “formazione” con i docenti delle scuole cantonali?

10)  La scuola a distanza, se riattivata, arrischia di favorire continuamente una sorta di “solitudine digitale” degli allievi (oltre che sfavorire gli allievi con più difficoltà). Il DECS ha opportunamente dichiarato l’essenzialità della scuola in presenza, soprattutto per il settore dell’obbligo. Il DECS è d’accordo con l’affermazione del noto psicoterapeuta italiano Alberto Pellai, che indica che per la scuola di domani, per la crescita cognitiva e morale dei giovani, “ci vogliono meno schermi e più umanizzazione, educazione emotiva e vita sociale”?

Aron Piezzi, deputato PLR

Cofirmatari: Fabio Käppeli, Maristella Polli, Alessandro Speziali e Diana Tenconi.