La cultura del rischio
14 agosto 2024
I recenti disastri in Vallemaggia mi hanno riportato a un libro di Paolo Rumiz, “Una voce dal Profondo”. Si tratta di un viaggio in Italia in cui l’autore – con la consueta sensibilità descrittiva – tocca zone laddove ci sono state calamità naturali (frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche, terremoti), denunciando l’assenza di una cultura del rischio che non permette, sintetizzando, di prevenire e minimizzare i danni. La domanda che mi pongo, attualissima, è la seguente: è presente, da noi, una cultura del rischio?
L’editoriale di Paolo Galli dell’8 agosto, tra le sue diverse considerazioni condivisibili, parlava anche di questo. In montagna e nelle valli c’è consapevolezza delle fragilità e insidie dettate dal contesto naturale: è la storia che lo insegna. Ma è pure presente una chiara presa di coscienza che molto si può (e deve) fare in termini di prevenzione e convivenza con madre natura e, soprattutto, i disagi che può creare. In questo senso, ho apprezzato le parole, sempre su queste colonne, di Carmelia Maissen, presidente della Conferenza dei governi dei Cantoni alpini, e Christian Vitta, presidente del Governo ticinese. Entrambi hanno respinto al mittente le miopi affermazioni di chi vorrebbe abbandonare le zone discoste, o almeno quelle toccate dalle disgrazie alluvionali. Hanno pure opportunamente manifestato la volontà di ricostruire e ridare slancio a questi territori martoriati ma che hanno ancora tanto da dare al Ticino e alla Svizzera. Smettendola però, aggiungo io, di rincorrere i luoghi comuni e superando l’immagine idilliaca e stereotipata della montagna, non realistica: in questi territori – oltre ad essere essenziali anche per le realtà urbane (e non mi riferisco solo all’energia) – seppur tra mille difficoltà si vive, si lavora e si creano opportunità socio-economiche. L’obiettivo a cui tutti devono mirare, in queste zone, è l’abitabilità permanente, evidenziando e promuovendo nuovi o altri modi di vivere rispetto ai centri, più a contatto con la natura. Parallelamente, occorre rinnovare lo spirito progettuale e garantire i servizi di prossimità.
Guai, quindi, liquidare con una spugna le possibilità edificatorie di queste zone! Ed è qui che torna il discorso sulla cultura del rischio, che non vuol dire superficialità o, peggio, irresponsabilità. Significa riapproppriarsi del territorio dimostrando di conoscerlo e rispettarlo; darsi regole e comportamenti sull'assunzione e sulla gestione dei rischi; ma pure, infine, agire più tempestivamente su monitoraggio e prevenzione di determinati eventi. Da noi, fortunatamente, si fa già molto in questa direzione. Tuttavia questi fatti drammatici ci dimostrano come occorra fare di più, ad esempio nell’ambito della gestione dei corsi d’acqua e dell’estrazione di inerti a titolo preventivo per la sicurezza, tema di una mia mozione inoltrata di recente.
È quindi indispensabile che il Ticino e la Svizzera continuino a mobilitarsi per assegnare un futuro dignitoso alle persone e alle zone duramente colpite.
Aron Piezzi
deputato PLR